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Dipendenti delle Poste italiane: figli di un Dio minore

EconomiaDipendenti delle Poste italiane: figli di un Dio minore

Incipit
“Qualsiasi relazione discriminante che non rispetta la convinzione fondamentale che l’altro è come me stesso costituisce un delitto, e tante volte un delitto aberrante”. (Papa Francesco)

“La discriminazione è una malattia”. (Roger T. Staubach)

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Ѐ davvero una brutta cosa la discriminazione, ancorché praticata sin dalla notte dei tempi. Tutti la condannano, ma sono troppi coloro che lo fanno solo con le parole. Storia vecchia, quindi, che purtroppo affiora quotidianamente dalla cronaca e spesso diventa pessima storia.

In questo articolo parliamo della discriminazione subita da oltre duecentomila lavoratori, dipendenti di Poste Italiane, azienda che nell’ultimo trentennio ha mutato lo status di vecchio carrozzone statale prima in Ente pubblico economico e poi, dal 28 febbraio 1998, sia pure con la formula di impresa pubblica, nell’attuale S.p.a.

La buonuscita congelata

Come noto, al termine dell’attività lavorativa, ai dipendenti del settore privato viene corrisposto il TFR (Trattamento di fine rapporto) e ai dipendenti pubblici il TFS (Trattamento di fine servizio). A titolo di chiarezza si precisa che, per i dipendenti postali, sin da quando esisteva il ministero di riferimento, il trattamento di fine servizio (ora TFR) viene definito con il termine “buonuscita”.

Una caratteristica peculiare dei due trattamenti è la rivalutazione monetaria annuale, calcolata secondo gli indici Istat, in modo da adeguare l’importo ricevuto all’inflazione, preservandone il potere di acquisto.

Per i dipendenti pubblici va precisato che si registra un sensibile ritardo tra la data di cessazione del servizio e l’erogazione del TFS, senza che l’importo benefici della rivalutazione e ciò è oggetto di lamentele e rivendicazioni, attualmente all’esame della Corte Costituzionale.

La penalizzazione economica, tuttavia, come meglio vedremo in seguito, è di gran lunga inferiore a quella subita dai postali, cosa che comunque non giustifica né il ritardo né la mancata rivalutazione.

Per i dipendenti di Poste Italiane, infatti, unici tra tutte le categorie di lavoratori provenienti dal servizio pubblico, la rivalutazione è stata “congelata” al 28 febbraio 1998, ossia alla data in cui è avvenuta la trasformazione dell’Ente pubblico economico in Società per azioni (legge finanziaria varata dal Governo Prodi, a firma di Ciampi e Visco in qualità di Ministri del Tesoro e delle Finanze).

La ragione di questa pesante discriminazione resta uno dei misteri irrisolti della Repubblica Italiana, nonostante violi in modo palese la Costituzione: art. 3 (Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese); art. 36 (Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa […].

I giudici della Consulta, tra l’altro, affrontando il problema a seguito di un ricorso, con un’ordinanza del 2007 hanno addirittura sancito “la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 6, lettera a, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica)”.

I postali, dunque, rispetto ad altri lavoratori, come per esempio i ferrovieri, per i quali la buonuscita è stata regolarmente inserita nel loro nuovo TFR, sono figli di un Dio minore.

Il danno economico subito

Prendiamo a titolo di esempio un dipendente che abbia cessato l’attività lavorativa nel novembre 2020, che abbia regolarmente riscosso il TFR un paio di mesi dopo e la quota restante di ventimila euro (maturata dal momento dell’assunzione al 1998) dopo due anni, ossia nel novembre 2022, secondo quanto previsto dalle vigenti norme.

La penalizzazione sarebbe pari a quasi il 46% di quanto gli sarebbe spettato: l’importo rivalutato, infatti – quello per intenderci che avrebbe riscosso un ferroviere con pari anzianità di servizio e di livello – ammonta a 43.509,68 euro!

Siccome al peggio non vi è mai fine, va anche detto che siffatta anomala situazione ha determinato degli errori da parte dell’Agenzia delle Entrate nella fase di ricalcolo dell’Irpef sulle liquidazioni già improvvidamente decurtate, con conseguente addebito di importi, in taluni casi davvero consistenti, non dovuti. (vedere pagina Facebook dedicata al “furto” delle buonuscite).

Per completezza informativa va aggiunta la maggiore penalizzazione subita dai fruitori della cosiddetta “Quota 100”, grazie alla quale hanno potuto anticipare il pensionamento coloro che, sommando gli anni dei contributi versati all’età anagrafica, abbiano raggiunto un risultato pari a cento: la riscossione della buonuscita, per loro, è prevista quindici mesi dopo il raggiungimento dell’età pensionabile.

In pratica, un dipendente che fosse andato in pensione nel gennaio 2019, a 62 anni compiuti, percepirà l’importo – non rivalutato dal 1998 – con un ritardo aggiuntivo di oltre sei anni, con buona pace di quanto sancito dalla Carta Europea dei diritti degli anziani e, molto più semplicemente, da un minimo di buon senso, soprattutto in regime di inflazione galoppante.

Giuseppe Zani: l’eroe dei postali vessati

Giuseppe Zani, 65enne residente in provincia di Brescia, è un ex dipendente delle Poste, vittima della famigerata legge Fornero sugli “esodati”, ossia i lavoratori che avevano accettato il licenziamento in cambio di un’indennità provvisoria fino al raggiungimento dell’età pensionabile.

Si fidavano dello Stato e delle sue leggi, i poveretti, ma non avevano fatto i conti con i tecnocrati amici (o servi) dei poteri forti, per i quali contano solo i ricchi. Firmarono con il cuore che batteva forte, dopo aver fatto bene i calcoli e deciso che la soluzione non era penalizzante.

Peccato che con l’entrata in vigore della legge si fossero trovati improvvisamente in un tetro limbo: senza pensione, senza stipendio e senza ammortizzatori sociali. Oltre 350 mila cittadini, dopo una vita di duro lavoro e immani sacrifici, si sono visti ripagare con azioni indegne di un Paese civile.

Tanti di loro sono precipitati nel vorticoso tunnel della depressione; tanti altri, invece, sono periti per il troppo dolore accumulato o per quel terribile impulso che spinge a gesti estremi quando il peso della vita diventa insostenibile: eclatante il suicidio di due continua a leggere sul sito di riferimento

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