sabato, 27 Luglio , 24

Parigi 2024, diluvio sulla cerimonia d’apertura. Tamberi: “Una figata pazzesca”

Saltato uno schermo delle tribune del Trogadero Roma,...

Parigi 2024, diluvio su cerimonia. Tamberi: “Una figata pazzesca”

Saltato uno schermo delle tribune del Trogadero Roma,...

Parigi 2024, le prime medaglie possibili per gli azzurri

Al via ciclismo, scherma, judo, tuffi, tiro Roma,...

Parigi 2024, l’Italvolley contro il Brasile, De Giorgi: “Noi pronti”

Gli azzurri all’esordio olimpico domani alle 13Roma,...

Allarme precarietà: 7 contratti su 10 sono a tempo, il 10% di chi lavora è a rischio povertà

PoliticaAllarme precarietà: 7 contratti su 10 sono a tempo, il 10% di chi lavora è a rischio povertà

ROMA – Terminata l’emergenza Covid-19 il mercato del lavoro appare ancora “intrappolato nella precarietà“: dei nuovi contratti attivati nel 2021 sette su dieci sono a tempo determinato, il part time involontario coinvolge l’11,3% dei lavoratori (contro una media OCSE del 3,2%), solo il 35-40% dei lavoratori atipici passa nell’arco di tre anni ad impieghi stabili, i lavoratori poveri rappresentano ormai il 10,8% del totale. Il nostro poi è l’unico Paese dell’area OCSE nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito (-2,9%), mentre in Germania è cresciuto del 33,7% e in Francia del 31,1% e dove le politiche in tema di sostenibilità sono state adottate appena dall’8,6% delle imprese, di queste la gran parte solo per il miglioramento nella gestione dei rifiuti, dove invece resta una chimera la creazione di filiere ecosostenibili (appena 1,2%) e per la produzione/consumo di energie da fonti rinnovabili (3,1%).

IL RAPPORTO INAPP: BASSI SALARI E BASSA PRODUTTIVITÀ

È quanto emerge dal “Rapporto Inapp 2022 – Lavoro e formazione, l’Italia di fronte alle sfide del futuroâ€� presentato alla Camera dei Deputati da Sebastiano Fadda, presidente dell’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche pubbliche), con la partecipazione del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Calderone. Il presidente dell’Istituto sottolinea: “Malgrado alcuni segnali confortanti -alcune debolezze del nostro sistema produttivo sembrano essersi cronicizzate, con il lavoro che appare intrappolato tra bassi salari e scarsa produttività. Per questo occorre pensare ad una ‘nuova stagione’ delle politiche del lavoro, che punti a migliorare la qualità dei posti di lavoro, soprattutto per i neoassunti e per i lavoratori a basso reddito, per le posizioni lavorative precarie e con poche possibilità di carriera, dove le donne e i giovani sono ancora maggiormente penalizzati. Le politiche del lavoro devono integrarsi con le politiche industriali e con le politiche di sviluppo, in una strategia unitaria orientata al rafforzamento della struttura produttiva, alla crescita del capitale umano e dell’innovazione tecnologica, al rafforzamento della coesione e della sicurezza sociale. Una strategia che deve essere disegnata ed attuata a tutti i livelli territoriali con un coordinamento capace di rispondere alle sfide del profondo cambiamento strutturale in atto”.

DOPO IL COVID PRECARIETÀ STRUTTURALE

Fadda aggiunge: “Il tema del crescente aumento dei contratti non standard rappresenta una costante del modello di sviluppo occupazionale italiano, che ha attraversato la prima crisi 2007-2008, sino a diventare requisito ‘strutturale’ della ripresa post Covid”. Fadda aggiunge che la “condizione di stagnazione dei salari è resa più preoccupante dalla ripresa dell’inflazione per cui si torna a porre il problema dei meccanismi idonei a contrastare la riduzione del potere d’acquisto di tutti i redditi fissi”.

NON APPLICATI I CONTRATTI COLLETTIVI: -20% NEL 2018

Il presidente Inapp spiega che “le cause di una dinamica salariale così contenuta sono diverse, una di queste è il meccanismo di negoziazione dei salari. Resta bassa la quota di imprese che dichiarano di applicare entrambi i livelli di contrattazione (4%); Inoltre, in sette anni si è ridotto il numero di aziende che dichiarano di applicare un CCNL (-10%), mentre si è più che duplicata la quota di imprese che dichiarano di non applicare alcun contratto (dal 9% nel 2011 al 20% nel 2018)”.

I CAPITOLI DEL RAPPORTO: LENTA CRESCITA DELL’OCCUPAZIONE

In Italia il tasso di occupazione, sceso dal 58,8 al 56,8% all’inizio della pandemia, ha ripreso a crescere solo nel 2021 e ha impiegato 18 mesi per tornare ai livelli pre-crisi. Nei Paesi OCSE la risalita era già consistente nel secondo trimestre 2020 e si è completata in 15 mesi. Nel 2021 sono stati 11.284.591 le nuove assunzioni, con prevalenza della componente maschile: 54% contro il 46% per le donne.

LA TRAPPOLA DELLA PRECARIETÀ

Nel 2021 il 68,9% dei nuovi contratti sono a tempo determinato (il 14,8% a tempo indeterminato). Nell’insieme il lavoro atipico (ovvero tutte quelle forme di contratto diverse dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato full time) rappresenta l’83% delle nuove assunzioni con un aumento del 34% negli ultimi 12 anni. Il rapporto rivela il crescente aumento dei contratti non standard che dopo la prima crisi 2007-2008 è diventato ‘strutturale’ dopo la ripresa post-covid. A dimostrazione di ciò l’analisi comparata longitudinale per i periodi 2008-2010, 2016-2018 e 2018-2021 di chi svolgeva un impiego precario. In tutti questi periodi la ‘flessibilità buona’ ha portato a un’occupazione stabile tra il 35 e il 40%. Dei rimanenti, sempre a distanza di tre anni, una quota ha continuato a svolgere un lavoro precario (tra il 30 e il 43% a seconda del triennio), un’altra ha perso l’impiego ed è in cerca di lavoro (16-18%), un’altra ancora è uscita dalla forza lavoro dichiarandosi inattiva (17% nel 2021, nel 2010 era il 3%).

LA CHIMERA DEL FULL TIME

Nel 2021 il part time involontario (la quota di lavoratori che svolgono un lavoro a tempo parziale non per scelta) rappresenta l’11,3% del totale dei lavoratori contro il solo 3,2% nell’area OCSE. Allo stesso tempo la tendenza alla riduzione dell’orario di lavoro sembra non arrestarsi e il prodotto per singola ora è bloccato dal 2000 rispetto a tutti i Paesi, non solo membri dell’UE.

IL LAVORO POVERO

Ci sono poi quanti, pur lavorando (dipendente o autonomo) sono in una famiglia a rischio povertà, cioè con un reddito disponibile equivalente al di sotto della soglia di rischio povertà. Nell’ultimo decennio (2010-2020) il tasso di “lavoro povero� è stato pressoché costante con un valore medio pari a 11,3% e una distanza rispetto all’Unione europea superiore mediamente del 2,1%. L’8,7% dei lavoratori (subordinati e autonomi) percepisce una retribuzione annua lorda di meno di 10mila euro mentre solo il 26% dichiara redditi annui superiori a 30mila euro, valori molto continua a leggere sul sito di riferimento

Check out our other content

Check out other tags:

Most Popular Articles